Leggere per vivere



Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza
vissuti con altrettanta pienezza di quelli
che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti,
quelli passati in compagnia del libro prediletto.

libbro
Photo by PerezTonella

Secondo il matematico e filosofo francese Blaise Pascal ) le persone sono “canne pensanti”. Leggere è essenziale per pensare. “Incontrare” un buon libro è come trovare un grande insegnante.
Lo ammetto, benché impegnato in ogni momento della mia giornata, io sono un avido lettore. Porto sempre con me un libro e annoto spesso nella mia moleskina le mie impressioni .La lettura è l’unica forza trainante che mi da la possibilità di andare avanti, sono come una locomotiva che non può muoversi senza il combustibile ,appena sveglio o prima di andare a letto ho bisogno di leggere almeno una decina di pagine altrimenti non riesco ad entrare nella giusta ottica delle cose. La lettura è un combustibile per la mente e la mia anima ,mi da la forza di sentirmi libero e fantasticare con nuove idee. Oggi Inauguro una nuova sezione del blog dove scriverò di alcuni libri che per me sono stati importanti non facendo la recensione o la critica ma estrapolando esclusivamente alcune parti per me significative e lasciando così al lettore la gioia di rileggere alcuni passaggi .
Voglio cominciare da “Delitto e castigo”del grande Fyodor Dostoevskij un classico che ho letto da ragazzino ho allegato un video del film Match Point liberamente ispirato dal genio di Woody Allen al grande romanzo qui il monologo iniziale.


Ai quei tempi i libri non si compravano. Passavano semplicemente di mano dal più vecchio al più giovane, avevano un aspetto vissuto e una volta letti rimessi subito in circolazione. Un patto di amore con le nuove generazioni,perché la lettura è un privilegio esclusivo degli esseri umani: nessun' altra creatura vivente possiede le stesse capacità e poi come disse il mio amico Calvino "Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che deve dire".


k9
Photo by Donald Verry

All'inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, un giovane uscì dallo stambugio che aveva in affitto nel vicolo S., scese nella strada e lentamente, quasi esitando, si avviò verso il ponte di K. Ebbe la fortuna di non incontrare per le scale la padrona di casa. Il suo stambugio si trovava proprio sotto il tetto di un edificio alto cinque piani, e sembrava più un armadio che una stanza. La padrona di casa che gli affittava quel buco, vitto e servizi compresi, abitava una rampa di scale più giù, in un appartamentino indipendente, e ogni volta, per uscire in strada, egli era costretto a passare davanti alla cucina della padrona, che teneva quasi sempre spalancata la porta sulle scale. Ogni volta che passava davanti a quella porta, il giovane provava una sensazione vaga e invincibile di paura, e poiché se ne vergognava, faceva una smorfia di stizza. Era sempre in arretrato con l'affitto, e temeva di imbattersi nella padrona.
Non che fosse timido e vile a quel punto, tutt'altro; ma da un po' di tempo attraversava uno stato di irritabilità e di tensione molto vicino all'ipocondria. Si era talmente chiuso in se stesso e isolato dal resto del mondo che la sola idea di incontrare qualcuno - non solo la padrona, ma chiunque - lo metteva in agitazione. Era afflitto dalla miseria; eppure persino le ristrettezze, negli ultimi tempi, non gli pesavano più. Aveva smesso del tutto di occuparsi dei problemi quotidiani, ed era ben deciso a continuare così. In fondo, non aveva affatto paura della padrona, qualsiasi cosa potesse macchinare contro di lui. Ma essere fermato sulle scale, costretto ad ascoltare ogni sorta di assurdità su stupidaggini di cui non gli importava un bel niente, le insistenze perché pagasse l'affitto, tutte le minacce e le querimonie che lo obbligavano a destreggiarsi, a scusarsi, a mentire - ebbene, no: meglio sgattaiolare in qualche modo giù per le scale e svignarsela senza farsi vedere da nessuno.
Questa volta, però, il timore di incontrare la sua creditrice riuscì ancora a stupirlo, una volta che fu nella strada.«In che razza di pasticcio sto andando a cacciarmi, e poi guarda di che sciocchezze ho paura!» rifletté con uno strano sorriso. «Mmh... già... All'uomo passa tutto per le mani, e tutto si lascia scappare per pura vigliaccheria... Questa è una verità assiomatica... Che strano ! Cos'è che fa più paura alla gente? Una nuova iniziativa, una parola nuova... Ma io chiacchiero troppo. E proprio perché chiacchiero non concludo niente. Però, in fondo, si può dire anche che chiacchiero tanto perché non concludo niente.
È solo da un mese che ho imparato a dar voce ai miei pensieri, standomene disteso in un angolo per giorni e giorni... a annaspare col cervello. Be', e adesso perché sto andando là? Sono davvero capace di fare questo? Ed è forse una cosa seria, questa? Non è seria per niente. Mi gingillo così, tanto per dar sfogo alla fantasia; un modo come un altro per distrarsi! Ma sì, forse non è altro che questo: un modo per distrarsi!»
Fuori faceva un caldo da morire. In più, c'era una gran calca; dappertutto impalcature, mattoni, calcina, polvere, e quel particolare tanfo estivo, così familiare a ogni pietroburghese che non abbia i mezzi per affittare una casa in campagna. Tutto ciò, di colpo, diede sgradevolmente sui nervi al giovane, che già li aveva abbastanza tesi per conto suo. L'insopportabile puzzo delle bettole, particolarmente numerose in quella parte della città, e gli ubriachi che - benché fosse un giorno feriale - continuavano a venirgli tra i piedi, aggiunsero gli ultimi tocchi alle ripugnanti, squallide tinte del quadro. Un accentuato senso di fastidio passò per un attimo sul volto del giovane, che era decisamente bello con i suoi lineamenti fini, i magnifici occhi scuri e i bei capelli castani, ed era esile e snello, di statura superiore alla media. Ma ben presto egli cadde in una profonda meditazione, anzi, per essere più precisi, in una specie di torpore, e proseguì senza più badare a quanto lo circondava, e addirittura senza volerlo vedere. Solo di tanto in tanto borbottava qualcosa tra sé, per quel vezzo di monologare che egli stesso si era riconosciuto poco prima. In quel momento, poi, era conscio del fatto che i suoi pensieri a volte si ingarbugliavano, e anche di essere molto debole: erano già due giorni che non toccava quasi cibo.
Era vestito tanto male che un altro, anche abituato a queste cose, ci avrebbe pensato due volte prima di uscire per strada in pieno giorno con addosso simili stracci. È vero che in quel rione era molto difficile che qualcuno si meravigliasse per il modo di vestire di qualcun altro. La vicinanza della Sennàja, il gran numero di bettole e il fatto che la popolazione fosse composta essenzialmente di operai e di artigiani, che s'ammassavano in quelle vie e in quei vicoli del centro di Pietroburgo, animavano il paesaggio di tipi tali, che nessun incontro poteva più apparire strano o sorprendente. Nell'animo del giovane, comunque, s'era già accumulato tanto amaro disprezzo che, a dispetto della sua giovanile ombrosità, non si vergognava affatto di ostentare i suoi cenci nella strada. Certo sarebbe stato diverso se si fosse imbattuto in qualche suo conoscente o compagno d'un tempo, persone con le quali, di regola, evitava d'incontrarsi... Tuttavia, quando un ubriaco che veniva portato, chissà dove e chissà perché, sopra un enorme carro trainato da un gigantesco cavallo da tiro, passando gli gridò all'improvviso: «Ehi, tu, cappellone tedesco!» - e si mise a berciare additandolo, il giovane si fermò di colpo afferrandosi convulsamente il cappello. Era un cappello alto e rotondo, alla Zimmerman, tutto liso, rossastro per l'usura,
1crivellato di buchi e cosparso di macchie, senza più falde e ammaccato da un lato nel modo più indecente. Non la vergogna, ma un sentimento assai diverso, simile addirittura allo sgomento, s'impadronì di lui.
«Lo sapevo, io!» borbottò turbato, «ci avrei giurato! Peggio di così non potrebbe andare! Ecco, una sciocchezza come questa, una qualsiasi inezia può guastare tutto il mio progetto! Sì, un cappello troppo vistoso... È ridicolo, e quindi lo si nota... Con i miei stracci occorre assolutamente un berretto, magari una vecchia frittella, non questa mostruosità. Nessuno porta roba simile, lo si nota a un chilometro di distanza, e non lo si dimentica... Il più grave è che se ne ricorderanno, ed eccoti già un indizio. Qui bisogna passare inosservati più che si può... i piccoli particolari contano più di tutto!... Sono proprio i piccoli particolari, di solito, a rovinare ogni cosa...» ( Fyodor Dostoevskij Delitto e castigo)
  





Miksocrate



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