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Visualizzazione dei post da marzo, 2012

Mik e la sua guerra psicologica



"In ogni conflitto, le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria.
Chi è abile nel sortire bizzarri stratagemmi è inesauribile come il Cielo,
la Terra e i grandi fiumi.
Giunto al termine riparte, come il sole e la luna; dopo morto rinasce, come le quattro stagioni."
Sunzi, L'arte della guerra (Ping Fa)

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Sperimentazioni paradossali di possibili vie d’uscita e non perpetue assicurazioni
di salvezza da esistenze invivibili scritte da un Michele misterioso

Sono nato in un mondo, dove tutto cambia a una velocità spaventosa, in un paese in cui ho passato la mia
infanzia, cresciuto attraverso dolorose esperienze di lacerazione interiore il paese
in cui ho passato la mia infanzia, non sa più come si chiama. Non ho scelto di nascere e non
ho potuto evitare le “trappole della vita”: il tempo, lo spazio, il caso.
La miscela esplosiva all’inizio casuale
si è trasformata progressivamente in catena di bisogni
inesorabili e di condizionamenti gravosi.

Che cosa c’è nel mio nome? Quando da bambino ricopiavo con ammirazione e stupore le sillabe che racchiudevano
il mio nome e cercavo di indovinare quali presagi poteva racchiudere la sequenza sonora, e il disegno fantastico
delle lettere. Mi hanno detto:<<Michele, questo è il tuo nome >>Il che significa che appartiene solo a me e che
resterà mio anche quando l’età avrà cambiato perfino la forma del mio corpo, del mio volto e delle mie mani.
E quando alla fine, dopo che tutto avrò restituito il nulla resterà di me, solo una vecchia iscrizione
su un registro dello stato civile o  una cifra tra i segni,
in una la lapide di un cimitero per i posteri.


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. . La natura mi ha inchiodato a precise fattezze fisiche e ascendenze famigliari, la società pretende di rinchiudermi in determinati parametri e leggi.
Entrambe cospirano nel trasformarmi in “individuo” sempre presente lucido, compatto ma soprattutto sempre uguale e responsabile
a cui imputare ogni azione. Il nome mi elargisce il certificato di esistenza e l'accesso al credito, ma in realtà serve soprattutto per non mettere in pericolo
gli equilibri collettivi concordati, quasi un sigillo di responsabilità. Faccio parte di  gruppo animale  costretto a sanzionare i meccanismi di riproduzione
mimetica e di attribuzione dell’identità. La mia personalità è il passaporto ,soltanto un modo di costruire me stesso
provvisorio,un artificio interiore e convenzionale frutto di segrete tendenze un “Michele” d’incosciente imitazione.
Ogni mia conoscenza è del resto  una costruzione umana o una “finzione” e nella normalità , ogni volta si adatta alle mutevoli divergenze come un camaleonte impazzito.
Sono queste le assurde costruzioni per operare  a possibilità di senso del mondo. A esse non corrisponde che la mia volontà di edificarlo , e di conseguenza,
arrivo a conoscere soltanto quello cui riesco a dare forma. Pregno di ambiguità che intrattengo con me e con gli altri.
Sembrerebbe una cosa mostruosa ma questa è la condizione di ognuno di noi stabile e inmutevole .
 Io “sono Michele” ma son anche una moltitudine di “altri Michele” repressi assopiti ribelli e dimenticati.
Costantemente impegnato
in una guerra psicologica con i miei ospiti.
Sono fantasmi simpatici, sgraditi, geni, romantici, poeti, musicisti, operai capaci di gesta eccezionali ma anche nefandi follie.
Quando Michele principale quello che comanda s’indebolisce o si frantuma, gli altri Micheliani esasperati dal lungo
esilio gli rivelano senza pietà la falsità e la meschinità della sua dittatura feroce e lo sostituiscono provvisoriamente.
La cosa affascinante che il Michele principale pensa di conoscersi e di conoscere molto bene i suoi ospiti ,e addirittura crede all’immagine molte volte errata che Mik e gli altri hanno di lui.
Una confederazione instabile di anime sotto un Io egemone.
La sua “normalità”, mentale, o “morale”non rappresenta solo che una piccola
parte di un risultato faticosamente raggiunto e virtualmente precario giacché il suo mantenimento esige un enorme dispendio di energie.
Nel suo cervello non vi è una pacifica convivenza ma una guerra civile senza esclusione di colpi, con un io tiranno che secondo le necessita
si allea ora con l’uno o con l’altro divide et impera, certo una lotta giustificata perché non spontanea giacché consapevole somma e confluenza di condizionamenti fisici e sociali secolari.
Tutta una finzione che cancella consapevolmente la vera essenza della sua persona.
Un vaso di Pandora ben sigillato.
A volte Michele ha la possibilità ,la fortuna o disgrazia di perdere contro i Micheliani ribelli,cede e come, un fiume in piena
travolge tutto e le sue rovinose ondate scombussolano il suo mondo, ed è allora che finalmente dopo aver quasi distrutto temporaneamente ogni conflitto,
raggiunge una conoscenza terribile ma incredibilmente vera in cui ciò che lo trattiene al quieto vivere, svanisce , e
finalmente dopo aver quasi distrutto temporaneamente ogni conflitto, scopre che si può vivere senza sentirsi un altro.
Dimessosi da se stesso, uscito dal gioco delle parti, diventato una maschera nuda,rinuncia alla finzione e all’assurdo lascia che entri in lui
la serena e calma determinazione di essere vero.
Un nuovo essere finalmente
in comunione con la natura che ha ritrovato la pace nel contatto con l’oceano stupendo della vita.


saifur

Per un attimo senza più la guerra.
Un umile abdicazione al proprio trascorso. Non più una marionetta cui è affidata una seconda parte monotona e assurda.
il rovescio della medaglia, agli occhi degli altri significa essere schedati come pazzoidi, portatori di un berretto
a sonagli,imprevedibili. Pericolosi divulgatori delle segrete verità di ciascuno che minano la civile convivenza.
Per un attimo senza più la guerra. 
Una volta riappacificato il pensiero e alleviato il senso di vertigine può assaporare finalmente la freschezza del proprio
nascere e morire in ogni momento, e perdersi e ritrovarsi nell’incostante provvisorietà e squilibrio del tempo.
Solo un attimo.
L’esistenza non è più insensata ma zampilla ininterrottamente, ricadendo su se stessa e modificando come l’acqua in un continuo di variazioni  musicali.
E finalmente
 nella contemplazione del mondo si gusta , la deliziosa danza della regressione al regno minerale o vegetale , ricominciando ogni giorno a nascere con un vero inizio

Miksocrate





mf

Bici Soul

MOVIMENTI DELL'ARIA
Nell'ombra della notte si ritorna soli
È l'ora che preferisco per viaggiare in bicicletta,
al raggio delle stelle su la strada vuota, per la bianchezza della quale l'occhio vede
da lungi sicuramente.
Dove si corre?
 Alfredo Oriani, La bicicletta, 1902

    Welland (Ontario) bandiera Canada Flag of Ontario.svg Ontario 179 m s.l.m. 

Coordinate: 42 ° 59 '0 "N , 79 ° 14 '0 "W 



ahron
Cuba Ahron de Leeu




La costruzione del canale Welland (1932), permise alle lamprede di mare, in fase di migrazione riproduttiva, di aggirare l'ostacolo delle Cascate del Niagara
e arrivare quindi ai Grandi Laghi: gli esemplari nati sul luogo non riuscirono più a tornare in mare e si adattarono al nuovo habitat diffondendosi enormemente a spese dei Salmonidi locali.
Questi parassiti succhiano il sangue dei pesci più grossi, come la trota e il salmone, uccidendoli. In questo modo i pesci più piccoli rimangono senza
predatori naturali, e aumentano a dismisura. A quel punto il plancton non basta più, e milioni di questi pesci muoiono di fame.
Per caso vi ricorda qualche altra specie?




Una specie o impara da se a contenere la propria crescita, oppure ci pensano malattie, carestie e purtroppo la guerra.
Ormai non credo più alla grande bugia che l’uomo possa produrre all’infinito automobili e moltiplicarsi senza autodistruggersi.
Non è questione di essere innocenti o colpevoli<< da un punto di vista morale i dinosauri non erano né buoni ne cattivi>>.
Il fatto di trovarsi a Parigi o a New York non fa più nessuna differenza, la globalizzazione sta scientificamente diffondendo forme di vita in franchising,
i posti diventano tutti uguali, i ristoranti cinesi, i McDonald’s e le automobili sono i veri abitanti di questo pianeta.
Gli indigeni, i luoghi tutto ciò che di unico esiste scacciato via per far spazio alle nuove strade al cemento, i centri sempre più lontani le periferie infinite,
una monocultura dove l’animale uomo vive per la maggior parte del suo tempo rinchiuso in una scatola di metallo. Alla fine le uniche biodiversità che rimarranno saranno la Coca e la Pepsi
e l’automobile. Le città ormai sono camere a gas e incubi ad aria condizionata, le automobili hanno occupato gran parte dello spazio
che dovrebbe essere riservato a una convivenza vitale e piacevole. Nelle agende di nessun governante del pianeta è prevista l’eliminazione totale
del traffico privato, ci stiamo suicidando e uccidendo gli altri esseri, il pessimismo non attecchisce più, vi è come una rassegnazione ma forse questo è il nostro
destino naturale, la distruzione sistematica e la visione sadica dell’abisso. Dalle rovine se riusciremo a sopravvivere, finalmente, ebbri riconosceremo la nostra potenza.
L’automobile espropria secoli di diritti d’uso che garantivano fiere, mercati, socialità. Basta guardare gli spot che la tv ci propina rubando le più belle canzoni della nostra generazione
trasformate in jingle, dove l’auto è proposta non più come mezzo di locomozione ma come un opera d’arte,  insieme  ti vendono una marea di accessori come che ti serviranno per tutta la tua esistenza
Giganteschi SUV con l’aria condizionata che scorrazzano con i vetri oscurati in un mondo irreale.



Cosa faccio qui?


L’esistenza è pura immaginazione
Miksocrate


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Eric Lafforgue


Il senso della vita come dice una canzone di Vasco non ha senso.
Nonostante la bestialità dell’esistenza,l’opzione consiste nel cercare il senso nella vita stessa,malgrado tutte le avversità e le cose deprimenti.
Si tratta  in fondo dell’opzione dell’accontentarsi di ciò che offre l’esistenza quotidiana.
Per noi umani il mondo ha già abbastanza senso:è il mondo dei gesti , delle esperienze abituali  e delle lacrime a volte persino banali.
Nell’opzione radicata o immanente ,il sorriso di un bambino, la grazia di una ballerina, il suono di una voce,i movimenti dell’amante, persino



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Eric Lafforgue



l’alternarsi di luci e ombre o il mormorio dell’oceano danno un senso a questa vita.
C’è chi lo trova poi nell’attività sfrenata  o nel successo:conquistare la cima di una montagna ,suonare la chitarra fare i cento metri in otto secondi…
Sono cose che durano solo il breve tempo della loro esistenza, ma non per questo sono prive di senso.
Un sorriso non deve necessariamente durare in eterno per trasmettere ciò che vuole comunicare.


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Eric Lafforgue


Non esiste nulla al di là degli eventi che formano la nostra esistenza,
così come non esiste un obbiettivo a cui tendano tali  eventi, anche se è proprio al loro interno che possiamo trovare qualcosa
di prezioso - un valore –un significato.
Non esiste un senso della vita: una vita può richiudere più di un senso.
La vista di uno squalo o di un falco possono costituire un sollievo temporaneo nell’esistenza di tutti i giorni.
Ma c’è una cosa meravigliosa che solo noi umani possiamo usare in esclusiva:l’immaginazione che bella parola,
che ci dà l’opportunità di estraniarci espande la portata della nostra comprensione e della nostra conoscenza.
Le fantasie che scatena, i sentimenti e le sensazioni che ispira appartengono sempre a questo mondo, nel migliore dei casi pur lasciando il mondo uguale a prima.
Vedere da una prospettiva meno egocentrica, impedendo ai nostri problemi di monopolizzarci.
Forse tali esperienze hanno il diritto di essere definite spirituali,anche se il termine non mi piace in quanto ha sofferto così a lungo la prigionia della religione
con il risultato che è difficile parlarne senza imbarazzo.
Gli esseri umani sono fatti per vivere nel presente e io aggiungo con la fantasia e l’immaginazione ;
la strada verso la saggezza, sta nel ricordarcelo, il che è anche la cosa migliore che possiamo fare.
Ma tornando all’immaginazione ieri sera ho fatto l’amore con Penelope Cruz e posso dire che questa vita ha  un senso


mashroor Nitol
Mashroor/Nitol

"Se non lo faccio io, chi lo farà?
Se non lo faccio ora, quando sarà il momento di farlo?
E se lo faccio per me, chi sono?"
E’ in queste tre domande l’essenza della logoterapia (o analisi esistenziale)
La prima dice: io sono insostituibile, unico, non posso delegare (se io non sarò me stesso, chi lo sarà per
me? ) ; la seconda: ogni momento è irripetibile, poi passa, è perduto,per sempre, non c’è più; la terza: se
faccio una cosa solo per me, tradisco la mia natura umana che è fatta per trascendersi, andare oltre.
Schematicamente, ecco il massimo di responsabilizzazione e di impegno per la vita:
Chi, se non io?
Dove, se non qui?
Quando, se non adesso?
Per chi, se non per altro? Per un amore, per un opera, per Dio, per una causa, per un senso fuori di me...
Ecco gli interrogativi di base che ogni persona ha da porsi per mettersi autenticamente alla ricerca di un
significato della vita.


Miksocrate




mf

Scrittori della luce




Per un motivo o per l'altro, sono un triste esiliato.
 In un modo o nell'altro, viaggio con la nostra terra e continuano 
a vivere in me, laggiù, lontano, le essenze longitudinali della mia patria. 


P. Neruda


Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.
Edgar Allan Poe

Che cosa dicono queste fotografie?
Dicono semplicemente il ricominciare perpetuo del tempo-niente altro.
Il tempo che strappa e distrugge ma che intanto inconsapevole 
apre una piccola breccia nello spazio soffocante del mondo.
Una fessura. È la luce, dove con arroganza, s’insinua la bellezza di
queste fotografie per dare un significato possibile di una vita nuova.

il buddismo zen chiama "satori"il lampo che squarcia il velo opaco dei fenomeni
abbandonando la coscienza a un 'estasi senza contenuto.la mente si spoglia di
ogni illusione, accerta che tutto intorno a lei sia votato a perdersi, accetta la sconfitta
e vi scopre la forma adeguata della propria gioia


eric L.
 Etiopia Eric lafforgue


Tutti noi, scriviamo per noi stessi, nel sogno, 
le storie più assurde, strampalate surreali e fantastiche. 
Ognuno di noi visita, senza averne una mappa, questa vera
 e propria foresta incantata che è l'onirico.
 La maggior parte al risveglio non porta con sé nessun ricordo
 di questi viaggi, o al massimo conserva qualche confuso lembo di immagine. 
Gli artisti invece, evidentemente, ricordano.
 Spesso le loro opere partono proprio da una visione 
onirica, che poi è sviluppata, elaborata, amplificata.




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Harar Etiopia Eric Lafforgue.




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 Polinesia Luca Gargano



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Bangladesh Sheik



gtyf658mki4
S. M, Rafi




HararJugol
Harar EtiopiaAhron de  Leewu




Shik890
Sheik







Miksocrate




mf

Leggere per vivere



Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza
vissuti con altrettanta pienezza di quelli
che abbiamo creduto di trascorrere senza averli vissuti,
quelli passati in compagnia del libro prediletto.

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Photo by PerezTonella

Secondo il matematico e filosofo francese Blaise Pascal ) le persone sono “canne pensanti”. Leggere è essenziale per pensare. “Incontrare” un buon libro è come trovare un grande insegnante.
Lo ammetto, benché impegnato in ogni momento della mia giornata, io sono un avido lettore. Porto sempre con me un libro e annoto spesso nella mia moleskina le mie impressioni .La lettura è l’unica forza trainante che mi da la possibilità di andare avanti, sono come una locomotiva che non può muoversi senza il combustibile ,appena sveglio o prima di andare a letto ho bisogno di leggere almeno una decina di pagine altrimenti non riesco ad entrare nella giusta ottica delle cose. La lettura è un combustibile per la mente e la mia anima ,mi da la forza di sentirmi libero e fantasticare con nuove idee. Oggi Inauguro una nuova sezione del blog dove scriverò di alcuni libri che per me sono stati importanti non facendo la recensione o la critica ma estrapolando esclusivamente alcune parti per me significative e lasciando così al lettore la gioia di rileggere alcuni passaggi .
Voglio cominciare da “Delitto e castigo”del grande Fyodor Dostoevskij un classico che ho letto da ragazzino ho allegato un video del film Match Point liberamente ispirato dal genio di Woody Allen al grande romanzo qui il monologo iniziale.


Ai quei tempi i libri non si compravano. Passavano semplicemente di mano dal più vecchio al più giovane, avevano un aspetto vissuto e una volta letti rimessi subito in circolazione. Un patto di amore con le nuove generazioni,perché la lettura è un privilegio esclusivo degli esseri umani: nessun' altra creatura vivente possiede le stesse capacità e poi come disse il mio amico Calvino "Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che deve dire".


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Photo by Donald Verry

All'inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, un giovane uscì dallo stambugio che aveva in affitto nel vicolo S., scese nella strada e lentamente, quasi esitando, si avviò verso il ponte di K. Ebbe la fortuna di non incontrare per le scale la padrona di casa. Il suo stambugio si trovava proprio sotto il tetto di un edificio alto cinque piani, e sembrava più un armadio che una stanza. La padrona di casa che gli affittava quel buco, vitto e servizi compresi, abitava una rampa di scale più giù, in un appartamentino indipendente, e ogni volta, per uscire in strada, egli era costretto a passare davanti alla cucina della padrona, che teneva quasi sempre spalancata la porta sulle scale. Ogni volta che passava davanti a quella porta, il giovane provava una sensazione vaga e invincibile di paura, e poiché se ne vergognava, faceva una smorfia di stizza. Era sempre in arretrato con l'affitto, e temeva di imbattersi nella padrona.
Non che fosse timido e vile a quel punto, tutt'altro; ma da un po' di tempo attraversava uno stato di irritabilità e di tensione molto vicino all'ipocondria. Si era talmente chiuso in se stesso e isolato dal resto del mondo che la sola idea di incontrare qualcuno - non solo la padrona, ma chiunque - lo metteva in agitazione. Era afflitto dalla miseria; eppure persino le ristrettezze, negli ultimi tempi, non gli pesavano più. Aveva smesso del tutto di occuparsi dei problemi quotidiani, ed era ben deciso a continuare così. In fondo, non aveva affatto paura della padrona, qualsiasi cosa potesse macchinare contro di lui. Ma essere fermato sulle scale, costretto ad ascoltare ogni sorta di assurdità su stupidaggini di cui non gli importava un bel niente, le insistenze perché pagasse l'affitto, tutte le minacce e le querimonie che lo obbligavano a destreggiarsi, a scusarsi, a mentire - ebbene, no: meglio sgattaiolare in qualche modo giù per le scale e svignarsela senza farsi vedere da nessuno.
Questa volta, però, il timore di incontrare la sua creditrice riuscì ancora a stupirlo, una volta che fu nella strada.«In che razza di pasticcio sto andando a cacciarmi, e poi guarda di che sciocchezze ho paura!» rifletté con uno strano sorriso. «Mmh... già... All'uomo passa tutto per le mani, e tutto si lascia scappare per pura vigliaccheria... Questa è una verità assiomatica... Che strano ! Cos'è che fa più paura alla gente? Una nuova iniziativa, una parola nuova... Ma io chiacchiero troppo. E proprio perché chiacchiero non concludo niente. Però, in fondo, si può dire anche che chiacchiero tanto perché non concludo niente.
È solo da un mese che ho imparato a dar voce ai miei pensieri, standomene disteso in un angolo per giorni e giorni... a annaspare col cervello. Be', e adesso perché sto andando là? Sono davvero capace di fare questo? Ed è forse una cosa seria, questa? Non è seria per niente. Mi gingillo così, tanto per dar sfogo alla fantasia; un modo come un altro per distrarsi! Ma sì, forse non è altro che questo: un modo per distrarsi!»
Fuori faceva un caldo da morire. In più, c'era una gran calca; dappertutto impalcature, mattoni, calcina, polvere, e quel particolare tanfo estivo, così familiare a ogni pietroburghese che non abbia i mezzi per affittare una casa in campagna. Tutto ciò, di colpo, diede sgradevolmente sui nervi al giovane, che già li aveva abbastanza tesi per conto suo. L'insopportabile puzzo delle bettole, particolarmente numerose in quella parte della città, e gli ubriachi che - benché fosse un giorno feriale - continuavano a venirgli tra i piedi, aggiunsero gli ultimi tocchi alle ripugnanti, squallide tinte del quadro. Un accentuato senso di fastidio passò per un attimo sul volto del giovane, che era decisamente bello con i suoi lineamenti fini, i magnifici occhi scuri e i bei capelli castani, ed era esile e snello, di statura superiore alla media. Ma ben presto egli cadde in una profonda meditazione, anzi, per essere più precisi, in una specie di torpore, e proseguì senza più badare a quanto lo circondava, e addirittura senza volerlo vedere. Solo di tanto in tanto borbottava qualcosa tra sé, per quel vezzo di monologare che egli stesso si era riconosciuto poco prima. In quel momento, poi, era conscio del fatto che i suoi pensieri a volte si ingarbugliavano, e anche di essere molto debole: erano già due giorni che non toccava quasi cibo.
Era vestito tanto male che un altro, anche abituato a queste cose, ci avrebbe pensato due volte prima di uscire per strada in pieno giorno con addosso simili stracci. È vero che in quel rione era molto difficile che qualcuno si meravigliasse per il modo di vestire di qualcun altro. La vicinanza della Sennàja, il gran numero di bettole e il fatto che la popolazione fosse composta essenzialmente di operai e di artigiani, che s'ammassavano in quelle vie e in quei vicoli del centro di Pietroburgo, animavano il paesaggio di tipi tali, che nessun incontro poteva più apparire strano o sorprendente. Nell'animo del giovane, comunque, s'era già accumulato tanto amaro disprezzo che, a dispetto della sua giovanile ombrosità, non si vergognava affatto di ostentare i suoi cenci nella strada. Certo sarebbe stato diverso se si fosse imbattuto in qualche suo conoscente o compagno d'un tempo, persone con le quali, di regola, evitava d'incontrarsi... Tuttavia, quando un ubriaco che veniva portato, chissà dove e chissà perché, sopra un enorme carro trainato da un gigantesco cavallo da tiro, passando gli gridò all'improvviso: «Ehi, tu, cappellone tedesco!» - e si mise a berciare additandolo, il giovane si fermò di colpo afferrandosi convulsamente il cappello. Era un cappello alto e rotondo, alla Zimmerman, tutto liso, rossastro per l'usura,
1crivellato di buchi e cosparso di macchie, senza più falde e ammaccato da un lato nel modo più indecente. Non la vergogna, ma un sentimento assai diverso, simile addirittura allo sgomento, s'impadronì di lui.
«Lo sapevo, io!» borbottò turbato, «ci avrei giurato! Peggio di così non potrebbe andare! Ecco, una sciocchezza come questa, una qualsiasi inezia può guastare tutto il mio progetto! Sì, un cappello troppo vistoso... È ridicolo, e quindi lo si nota... Con i miei stracci occorre assolutamente un berretto, magari una vecchia frittella, non questa mostruosità. Nessuno porta roba simile, lo si nota a un chilometro di distanza, e non lo si dimentica... Il più grave è che se ne ricorderanno, ed eccoti già un indizio. Qui bisogna passare inosservati più che si può... i piccoli particolari contano più di tutto!... Sono proprio i piccoli particolari, di solito, a rovinare ogni cosa...» ( Fyodor Dostoevskij Delitto e castigo)
  





Miksocrate



mf
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