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Adulis blues



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Asmara il mercato delle granaglie Photo by Jamie Furlong
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"Voi avete l'orologio, noi il tempo" dicono le popolazioni del deserto.

Maledette tutte le città umane, prigioni della fantasia.
Dopo anni di esilio tornavo per dimenticare. Avevo preso tre mesi di attesa, novanta giorni sabbatici; un viaggio volutamente solitario.
Non era una per me una vacanza ma una peregrinazione interiore, un intervallo stralciato da una vita a me imposta quindici anni prima, per validare da adulto la mia sorgente.
L'Eritrea veniva fuori da una lunga e logorante guerra. Il profondo degrado spiccava cospicuo in contrasto a un'aria ristoratrice che frizzava di speranza e auspicio; pervasiva e palpabile antitesi che non poteva sfuggire a un figlio reso forestiero dal tempo nemico. Tempo tassante della tundra, non quello fatalistico del deserto che sembrava ancora volermi benignamente baciare in fronte.
La vecchia e materna Asmara, sembrava miracolata, intatta come se fosse stata protetta dallo spirito delle sagge donne che la crearono in un atto di caparbia conciliazione, unendo i quattro agguerriti villaggi, nel lontano 1507 sotto la tutela di Enda Mariam, l'antichissima Chiesa Tewahdo dedicata alla donna per eccellenza, la misteriosa Madonna di Zion.
Non avevo scordato nulla, la mia città natia e anche quella del primo noto monarca abissino, primogenito della Regina di Saba tremila anni prima, mi aspettava immota quasi avesse deciso di non voler crescere senza di me, ma avvizzire nobilmente aspettandomi.
Lentamente i luoghi che nei miei ricordi erano maestosi, si rivelavano nella loro consunta realtà. Il campo da calcio della vecchia scuola che da ragazzino avevo creduto enorme mi sembrava improvvisamente incredibilmente piccolo. Rimappare il territorio che credevo ricordare nei suoi intimi dettagli diveniva compito a volte minato da antiche emozioni, che richiedeva fortitudine anche se solo lievemente contraddetto.
Formattavo e aggiornavo febbrilmente tutto il mio sistema operativo e tutto quello che per tanto tempo era stivato nella mia memoria. Con grande stupore mi accorsi compiaciuto che la maggioranza dei miei ricordi erano illesi. Mi sentii avvolto da una dolce e riassicurante illusione che Asmara mi aveva aspettato; rifiutandosi di divenirmi straniera.
Sollevato dalla costatazione, non volevo sapere altro: quello che cercavo non si trovava lì.


Noleggio una vecchia auto giapponese, comincio il mio viaggio-terapia. Rotta verso il bassopiano. Massawa.
Eccola la mia Africa. Finalmente si apre il sipario, un unico spettacolo solo per me. La mia Africa; L’immensità. Curve a gomito. Sempre più giù accompagnato dalle nuvole.
Quando arrivo nella piana di Sabarguma, le orecchie esplodono, un sapore intenso di sale sulle labbra, l’aria calda sulla pelle. La vecchia Adulis in lontananza, il profumo intenso di mare carico di iodio e ossigeno si fa strada con forza nei miei polmoni.
La magia del paesaggio mi toglie il respiro inizio a viaggiare nel tempo. Vengono fuori le emozioni più intense e le sensazioni  per molto tempo nascoste sotto la corazza dell'effimero consumistico.


Massawa ha pagato duramente la guerra, ferita a morte implora pietà. Deserto e mare, questo è un luogo per viaggiatori non per i turisti.
Solo per chi sa guardare. Per chi vuole capire, e dare un valore allo scorrere lento del tempo.
Un luogo per chi non teme la sua anima.
Il sole nasce lento, l'orizzonte caldo mi avvolge. Rocce destinate a trasformarsi in sabbia, dune mosse come onde del mare, dove il vento e un ospite gradito.
Il mio caro mar rosso, quanto tempo, ti  rivedo, adesso nessuno mi sbarrerà più la strada.
In questo luogo e adesso, mi apro a te alla scoperta del tuo mondo remoto ,io oggi sono il vento che ti lascerà assolutamente incantato e trasformato.
Il silenzio...è assoluto, cosmico, perfetto. Non un singolo lieve, piccolo rumore, che riesce a infrangerlo... questo silenzio è solo per orecchie che sanno ascoltare, in realtà nasconde la melodia cosmica universale.
Una musica da lasciare sbigottito Mozart. Il battito del mio cuore tiene un ritmo sincopato.
Il vento improvvisa e il mare con i sui bassi profondi in un loop cosmico da brivido, siano solo in tre, Il mare e il deserto ed io ...
e camminando ritrovo i miei amici e i mitici racconti. La gioia spunta fra le dune, spazi sterminati pieni di luce, oro puro, bagliori e un mistero che mi avvolge e mi prende il cervello.
Le mie dighe ormai si sono rotte, il caos di ricordi antichi emerge prepotente e le sensazioni di sentimenti reconditi nascosti nel profondo del mio animo esplodono.
Sola roccia, sabbia, cielo, mare, colori e silenzio.
Il vento e la luce che cambiano. Una bellezza assoluta, essenziale,...
Costeggiando m’incammino verso sud. Dopo cinque kilometri scavo una piccola buca e infilo dentro lo zaino e il mio vestito.
Sono nudo, pronto per il mio dialogo con Dio.
Avevo sconfinato in quel territorio sconosciuto dentro di me e distrutto i pezzi di filo spinato degli uomini.
Qui ero atteso da sempre e questa sabbia sotto i piedi nudi non è mai stata di nessuno. Sento le distese di dune come onde del mare, con le creste sollevate dal vento che piano piano e senza scopo si spostano.
Spazi sterminati pieni di nulla che non sia purissima luce. Tutti i miei problemi, Il mio inutile futuro, tutto quello che mi aspetta a casa, moglie, figlia, comodità ansie, felicità e ambizioni, gioie dolori e preoccupazioni, non conta più nulla.

Qui non posso mentire, sono solo con il mio io e vaffanculo l'inconscio, il lavoro e gli umani.
Nudo continuo a camminare.
Calde e salate lacrime mi solcano il viso, un urlo di rabbia e gioia viscerale mi sale dalla pancia.
Il mio urlo si fa acuto e lamentoso e s’impenna sul dorso scivoloso del caos.
Vento gemito delle vette, anche tu sei diventato me
Adesso sono Il tempo, la sabbia la luce. Sto Imparando a vedere con altri occhi. Vivere questo momento adesso...solo ora.
Contatto .
qui ero atteso da sempre .
Serenità e il sole dentro, finalmente la pace.

Ero già entrato , inavvertitamente, nel sonno e sognavo
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La piana di Adulis Nasa

mare

Ciò che crediamo di scorgere, ciò che brilla in lontananza, nella lontananza del passato, sono i nostri sogni spenti, senza luce né calore, che sopravvivono, come fantasmi, grazie alla nostra ostinata tendenza all'evocazione. O magari è la memoria che, a sua volta, rivela - senza saperlo - l'intensità della nostra carenza, il profondo dolore degli uomini per quello che hanno perso. Chi ha sofferto
 dice che il peggior dolore, il dolore più insopportabile, è il dolore fantasma, quello che lascia come unica traccia della sua esistenza quel membro strappato dal resto del corpo che lo ha abbandonato per sempre. E da considerare un vero e proprio sintomo della nostra condizione il fatto che non esista dolore più intenso della memoria del dolore. Manuel Cruz • I brutti scherzi del passato




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                                                                                       Tre razze (Rajiformes) photo by David Doubilet   

  Il fiume come metafora del viaggio dell’esistenza:partire sarebbe allora come rinascere, morire come tornare al mare

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Photo by Doubilet

solo una bozza...eventuali errori...scritto in sala d'attesa dentista...il bello della diretta


                                                                                                                   miksocrate- un grazie particolare a Yonas Ghebrelul Ghebreyesus



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